L’oggetto, esposto alla mostra "L'Egitto di Belzoni" a Padova e conservato presso il Musée du Louvre a Parigi, apparteneva a Djehuty (generale di Thutmosi III, faraone della XVIII dinastia, che governò per 33 anni dal 1458 al 1425 a.C.).
Djehuty era noto anche come procacciatore di materiali preziosi e infatti l’iscrizione in geroglifico incisa sul bordo della coppa recita:
“Favore che concede reale di Menkheperra (Thutmosi III), re dell’Alto e del Basso Egitto, a sua eccellenza il nobile, padre del dio, amato dal dio, l’uomo di fiducia del re in tutte le terre straniere e sulle isole in mezzo al mare, lui che riempie i magazzini di lapislazzuli, argento e oro, il generale, il favorito del dio perfetto, il signore delle Due Terre, lo scriba reale Djehuty, giusto di voce.”
Coppe metalliche di questo genere sono attestate anche in altre civiltà dei Vicino Oriente (in Assiria ad esempio e a Ugarit in Siria - una patera in oro proveniente da Ugarit e raffigurante una scena di caccia è conservata sempre al Musée di Louvre e appartiene al XIV-XIII sec. a.C.).
Ne sono state ritrovate anche in Grecia e a Cipro ma datate a periodi più tardi (VIII-VII sec. a.C.).
La decorazione di tali coppe era “egittizzante” ovvero rimandava al patrimonio figurativo presente in Egitto: sfingi, immagini di divinità e file di animali si affiancavano ad elementi floreali e faunistici.
Questi oggetti (che rappresentano talvolta anche scene di guerra) sono una delle concrete testimonianze dei contatti (non sempre pacifici) che intercorrevano tra Egitto e Vicino Oriente e delle loro reciproche influenze.
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